Recitativo
Mitridate
Pera omai chi m'olgraggia, ed il mio sdegno più l'un figlio
dall'altro di
distinguer non curi. Vadasi, e a cader sia Sifare il primo...
Ahi, qual incontro!
Aspasia
[gettando via dispettosamente le bende suddette]
A terra, vani impacci del capo. Alla mia morte di strumento funesto giacchè nemmen servite, io vi calpesto.
Mitridate
Qual furor?
Ismene
Degno, o Sire, di chi libera nacque. I doni tuoi di rendersi fatali
disperata tentò,
ma i numi il laccio infransero pietosi. Ah se t'è cara la vita sua,
se ancor tu serbi in
seno qualche d'amor scintilla, un ira affrena, che forse troppo
eccede e ciò, che invano
per le vie del rigor tenti ottenere, l'ottenga la clemenza.
Mitridate
E che non feci , Principessa, finor?
Ismene
Nell'ardua impresa non stancarti sì presto. Fa ce il cupido
amante la ravvisa da lei,
non il regnante.
Mitridate
Quanto mi costa, o Dio, l'avvilirmi di nuovo! Ma il voui? Si
faccia.
Ismene
Ah sì: d'esempio Ismene, Signor, ti serva. Io quell' oltraggio
istesso che tu our
soffri, e non pretendo con eccesso peggiore di vendicare il mio tradito
amore.
No. 19 Aria
Tu sai per chi m'accese
quanto sopporto anch'io,
e pur l'affanno mio
non cangiasi in furor.
potrei punirlo, è vero,
ma tollerò le offese,
e ancora non dispero
di vincere quel cor.
[parte]
Aspasia
Re crudel, Re spietato, ah lascia almeno ch'io ti scorga una volta
sul labbro il ver.
Non ingannarmi e parla: di Sifare che fu? Vittima forse del geloso tupo
sdegno ei già
spirò?
Mitridate
No, vive ancora, e poui assicurar, se'l brami, i giorni suoi.
Mitridate
Non abusando della mia sofferenza, alle mie brame mostrandoti
cortese e nel tuo core
quel ben, che mi si deve, a me rendendo. A tal patto io sospendo il
corso all'ire mie.
Del tutto, Aspasia, col don della tua destra deh vieni a
disarmarle.
Aspasia
Invan tu speri, ch'io mi cangi, o Signor. Prieghi non curo e
minacce non temo. Appien
comprendo qual sarà il mio destin; ma nol paventa chi d'affrettarlo
ardì.
Mitridate
Pensaci: ancora un momento a pentirti t'offre la mia pietà.
Aspasia
Di questa, o Sire, che inutile è per me, provi gli effetti
l'innocente tuo figlio. Il
tuo furore di me quanto gli aggrada omai risolva; ma perdendo chi è
rea Sifare assolva.
Mitridate
Sifare? Ah scellerata! E vuoi ch'io creda fido a me chi ti piacque
e chi tuttora
occupa il tuo pensier? No, lo condanna la tua stessa pietà. Di mia
vendetta teco vittima
ei sia.
Arbate
Mio Re, t'affretta o a salvarti, o a pugnar. Scesa sul lido
l'oste romana in un
momento in fuga le tue schiere ha rivolte, e a queste mura già reca
orrido assalto.
Mitridate
Avete, o Numi, più fulmini per me? Alla difesa corrasi, Arbate.
Del disastro mio tu
non godrai, donna infedele: addio.
No. 20 Aria
Vado incontro al fato estremo,
crudo ciel, sorte spietata;
ma frattanto un'alma ingrata
l'ombra mia precederà.
[parte, seguito da Arbate e dalle guardie reali]
Aspasia
Lagrime intempestive, a che dal ciglio malgrado mi scendete ad
innondarmi il sen? Di
beolezza tempo or non è. Con più coraggio attenda il termine
de'mali un infelice:
Già quell'ultimo addio tutto mi dice.
[viene un moro, il quale presenta ad Aspasia sopra una sottocoppa la tazza del veleno]
Recitativo accompagnato
Aspasia
Ah ben ne fui presaga! Il dono estremo di Mitridate ecco recato. O
destra, temerai
d'appressarti al fatal nappo tu, che ardita al collo mi porgesti le
funi? Eh no, si
prenda,
[Aspaisa prende in mano la tazza ed il moro si ritira]
e si ringrazi il donator. Per lui ritorno in libertà. Per lui poss'io dispor della mia sorte e nella tomba col fin della mia vita quella pace trovar, che m'è rapita.
No. 21 Cavatina
Pallid'ombre, che scorgete
dagli Elisi i mali miei,
deh pietose a me rendete
tutto il benm che già perdei.
Bevasi...
Aimè, qual gelo trattien la man?...
Qual barbara conturba idea la mente. In questo punto ah forse beve la morte sua Sifare ancora. Oh, immagine funesta! Fia dunque ver? No, l'innocenza i Numi ha sempre in suo favor. D'Eroe sì grande veglian tutti in difesa, e se v'è in cielo chi pur s'armi in suo danno, l' ire n'estinguerà questo, che in seno
sacro a Nemesi or verso atro veleno.
[in atto di bere]
Sifare
Che fai, Regina?
Aspasia
Ah, sei pur salvo?
Sifare [gli loglie di mano la tazza e la getta per terra]
Aspasia
Non vedi, incauto, che più lungo il penar forse mi rendi, e
nuovamente il genitore
offendi?
Sifare
Serbisi Aspasia in vita, e poi del resto abbian cura gli Dei. Per
tua custodia, finchè
dura la pugna, vengano quegli armati.
Aspasia
E mi lasci così?
Sifare
Dover più sacro da te lontano, o cara, il tuo Sifare or chiama. A
Mitridate accanto la
roterò la spada, ei benchè ingiusto, ahi pur m'è padre! E se
nol salvo ancora, tutto
ho perduto, ed ho la vita a sdegno.
Aspasia
Oh di padre miglior figlio ben degno.
[parte seguita da soldati sudetti]
Sifare
Che mi val questa vita in cui goder non spero un momento di bene, in
cui degg'io in
eterno contrasto fra l'amore ondeggiar, e'l dover mio? Se ancor me
la togliete,io vi son
grato, o Dei.
Troppo compensa quei dì, ch'io perdo, il vanto di morire innocente e chi in sembianza può chiudergli d'Eroe visse abbastanza.
No. 22 Aria
Sifare
Se il rigor d'ingrata sorte
rende incerta la mi afede,
ah palesi almen la morte
di quest'alma il ben cando.
D'una vita io son già stanco
che m'espone al mondo in faccia
a dover l'indegna taccia
tollerar il traditor.
[si ritira]
Recitativo
Farnace
Sorte crudel, stelle inimiche, i frutti son questi, che raccolgo da
sì belle speranze?
Io più regni primogenito erede siedo ad un sasso, e invece di calcar
soglio ho la catena
al piede? Oh cielo, qual odo, strepito d'armi... [vedesi aprire
nel muro una gran
breccia, per cui entra Marzio seguito da'suoi soldati).
A replicati colpi qual forza esterna i muri percosse ed or gli atterra! E'eogno io mio o vegliando vaneggio? Che più temer, che più sperar degg'io?
Marzio
Teco i patti, o Farnace serba la fè Romana.
[viene sciolto Farnace e un Romano gli porge l'armi]
Farnace
Ah, Marzio, amico, invano io dunque non sperai...
Marzio
Dal campo in cui del tuo periglio, o prence, fui spettator, uscito
appena un legno
trovo al lido e v'ascendo. Arride il vento alle mie brame imapzianti.
Al duce prima
dell'armi, indi a'soldati io narro il fiero insulto, i rischi tuoi.
Ne freme quel popolo
d'eroi, chiede vendetta, e vola per Ninfea furibondo. Invan contrasta
allo sbarco
improvviso e il primo io sono la nota torre ad assalir. Fugati son dai
merli i custodi e
al grave urtar delle ferate travi crolla il muro, si fende, e un varco
al fine m'apron
libero a te quelle rovine.
Farnace
oh sempre in ogni impresa fortunato ed invitto genio roman! Ma il
padre?
Marzio
O estinto, o vivo, sarà dall'armi nostre il più illustre
trofeo. De'tuoi seguaci lo
stuol disperso intanto salvo ti vegga e t'accompagni al trono, di cui
Roma il suo amico
oggi fa dono.
No. 23 Aria
Marzio
Se di regnar sei vago,
già pago è il tuo desìo,
e se vendettà vuoi
di tutti i torti tuoi
da te dipenderà.
Di chi ti volle oppresso
già la superbia è doma, mercè il valor di Roma
mercè quel fatto istesso
che ognor ti seguirà.
[parte col suo seguito]
Farnace
Vadasi...Oh, Ciel, ma dove dpingo l'ardito piè? Ah vi risento; o
sacre di natura voci
possenti, o fieri rimorsi del mio cor.Empio a tal segno, no, ch'io
non son e a questo
torno, Aspasia, Romani, io vi detesto.
No. 24 Aria
Già dagli occhi il velo è tolto,
vili affetti io v'abbandono:
son pentito, e non ascolto, che i latrati del mio cor.
Tempo è omai, che al primo impero
la ragione in me ritorni;
già ricalco il ben sentiero
della gloria e dell'onor.
[parte]
Mitridate
Figlio, amico, non più. La sorte mia dall'amor vostro esige
altro che pianto. Se
morte intempestiva tronca i disegni miei, se a Mitridate spirar più
non è dato, come
bramò dell'arsa Roma in seno, brando straniero almeno non ha
l'onor del colpo. Ei cade
estinto ma di sua mano, e vincitor, non vinto.
Sifare
Perchè, avverso destino, atto sì disperato prevenir non
potei!
Mitridate
Per tempo ancora giungesti, o figlio. Hanno i miei sguardi estremi
la tua fè rimirata
e'l tuo valore. Per te prostrate al suolo giaccon l'aquile altere-
Presso a cader
poc'anzi del nemico in poter ebbi in orrore, che pria morir, che
d'incontrarla elessi.
Potessi almen, potessi egual premio a tant'opre...
Mitridate
Ah, vieni, o dolce, dell'amor mio tenero ogetto, e scopo di mie
furie infelice. Ad
esse il cielo non invan ti sotrasse, e puoi tu sola scontar gli
obblighi miei. Scarsa
mercede sarebbe a un figlio tal secretto e corona senza la destra tua.
Dal grato padre
l'abbia egli in dono, e possa eterno oblìo frattanto cancellar dai
vostri cori la
memoria crudel de'miei furori.
Aspasia
Vivi, o Signor, ed ad ambi almen conserva, se felice ne vuoi, il
maggior d'ogni ben
ne' giorni tuoi.
Mitridate
Già vissi, Aspasia. Omai provvedi, o figlio alla tua
sicurezza.
Sifare
Ah lascia, o padre, che pria sul reo Farnace vada a punir...
Recitativo
Ismene
Reo non si chiami, o Sire, chi reca illustri prove al regio piede
del pentimento suo,
della sua fede. Opra son di Farnace quegl'incendi, che miri. egli di
Roma volse in danno
quell'armi e quella libertà, ch'ebbe da lei, nè per tornare
innanzi col bel nome di
figlio al padre amato ebbe rossor di diventarle ingrato.
Mitridate
Numi, qual nuova è questa gioia per me! Sorgi, o Farnace, e vieni
agli amplessi
paterni. [si alza Farnace e baccia al padre la mano) Già rendo
a te la tenerezza
mia. Basta così: moro felice appieno. [vien portato dentro la
scena]
No.25 Quintetto
Sifare, Aspasia, Farnace, Ismene, Arbate
Non si ceda al campidoglio,
si resista a quell'orgoglio,
che frenarsi ancor non sa.
Guerra sempre e non mai pace
da noi abbia un genio altero,
che pretende al mondo intero
d'involar la libertà.