Last updated: July 21, 1997
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I Due Foscari

Atto Primo | Atto Secondo | Atto Terzo


Setting: Una sala nel palazzo Ducale di Veneizia. Dì fronte veroni gotici, da' quali scorge parte della cità e della laguna a chiaro di luna. A destra due porte, una che mette negli appartamenti del Doge, l'altra all'ingresso comune; a sinistra altre due porte che guidano all'aula del Consigilio dei Dieci, ed alle torce di cera, sostenute da bracci di legno sporgenti dalle pareti.

Il Consigilio dei Dieci a Giunta vanno raccogliendosi.


CORO 1
Silenzio . . .

CORO 2
Mistero . . .

CORO 1
Qui regnino intorno.

CORO 2
Qui veglia costante, la notte ed il giorno
sul veneto fato di Marco il Leon.

TUTTI
Silenzio, mistero
Venezia fanciulla
nel sen di quest'onde protessero in culla,
e il fremer del vento fu prima canzon.
Silenzio, mistero la crebber possente
de' mari signora temuta, prudente
per forza e sapere,
per gloria e valor.
Silenzio, mistero
la serbino eterna,
sien l'anima prima di chi la governa . . .
Ispirin per essa timore ed ardor.

[ Barbarigo e Loredano entrano dalla comune. ]

BARBARIGO
Siam tutti raccolti?

CORO
Il numero è pieno.

LOREDANO
E il Doge? . . .

CORO
Tra i primi qui giunse sereno:
De' Dieci nell'aula poi tacito entrò.

TUTTI
Or vadasi dunque, giustizia ne attende,
giustizia che eguali qui tutti ne rende,
giustizia che spendido qui seggio posò.
Silenzio, giustizia, silenzio, mister!

[ Entrano nell'aula del Consigilio. ]

[ Jacopo Foscari viene dal carcere preceduto dal Fante, fra i Comandadori. ]

FANTE
Qui ti rimani alquanto
finchè il Consiglio te di nuovo appelli.

JACOPO
Ah sì, ch'io senta ancora, ch'io respiri
aura non mista a gemiti e sospiri.

[ Il Fante entra in Consigilio. ]

Brezza del suol natìo,
il volto a baciar voli all'innocente! . . .
[ appressandosi al verone ]

Ecco la mia Venezia! . . . ecco il suo mare! . . .
Regina dell'onde, io ti saluto! . . .
Sebben meco crudele,
io ti son pur de'figli il più fedele.

Dal più remoto esilio,
sull'ali del desìo,
a te sovente rapido
volava il pensier mio;
come adorata vergine
te vagheggiando il core,
l'esillo ed il dolore
quasi sparian per me.

[ Il Fante viene dal Consiglio. ]

FANTE
Del Consiglio alla presenza
vieni tosto, e il ver disvela.

JACOPO
(Al mio sguardo almen vi cela,
ciel pietoso, il genitor!)

FANTE
Sperar puoi pietà, clemenza . . .

JACOPO
Chiudi il labbro, o mentitor.

Odio solo, ed odio atroce
in quell'anime si serra;
sanguinosa, orrenda guerra
da costor si farà.
Ma sei Foscari, una voce
va tuonandomi nel core;
forza contro il loro rigore
l'innocenza ti darà.

[ Tutti entrano nella sala del Consigilio. ]


Scena II

Setting: Sala nel palazzo Foscari.

Vi sono varie porte all'intorno con sopra ritratti dei Procuratori, Senatori, ecc., della famiglia Foscari. Il fondo è tutto da gotici archi, a traverso i quali sì scorge il Canalazzo, ed in lontano l'antico ponte di Rialto. La sala è illuminata da grande fanale pendente nel mezzo.



[ Lucrezia esce precipitosa da una stanza, seguita dalle ancelle che cercano trattenerla. ]

Pisana
Nuovo esilio al tuo nobil consorte del
Consigilio accordò la clemenza . . .

LUCREZIA
La clemenza? . . . s'aggiunge lo scherno! . . .
D'ingiustizia era poco il delitto?
Sì condanna e s'insulta l'afflitto
di clemenza parlando e pietà?
O patrizi, tremate . . . l'Eterno
l'opre vostre dal cielo misura . . .
D'onta eterna, d;immensa sciagura
egli giusto pagarvi saprà.

PISANA e CORO
Ti confida; premiare l'Eterno
l'innocenza dal cielo vorrà.


Scena III

Setting: Sala come alla prima scena.



[ Membri del Consigilio de'Dieci a della Giunta vengono dall'aula. ]

CORO I
Tacque il reo!

CORO II
Ma lo condanna
allo Sforza il foglio scritto.

CORO I
Giusta pena al suo delitto
nell'esilio troverà.

CORO II
Rieda a Creta.

CORO I
Solo rieda.

CORO II
Non sì celi la partenza . . .

TUTTI
Imparziale tal sentenza
il Consiglio mostrerà.

Al mondo sia noto
che qui contro i rei,
presenti o lontani,
patrizi o plebei,
veglianti son leggi d'eguale poter.
Qui forte il leone col brando, coll'ale
raggiunge, percuote qualunque mortale
che ardito levasse un detto, un pensier.

[ Escono tutti. ]


Scena IV

Setting: Stanze private del Doge. Una gran tavola coperta di damasco, con sopra una lumiera di argento; una scrivania e varie carte; di fianco un gran seggiolone.



[ Il Doge, appena entrato, si abbadnona sul seggiolone. ]

DOGE
Eccomi solo alfine . . .
Solo! . . . e il sono io forse?
Dove de'Dieci non penetra l'occhio?
Ogni mio detto o gesto,
il pensiero perfino m'è osservato . . .
Prence e padre qui sono sventurato!

O vecchio cor, che batti
come ai prim'anni in seno,
fossi tu freddo almeno
come l'avel t'avrà;
ma cor di padre sei,
vedi languire un figlio;
piangi pur tu, se il ciglio
più lagrime non ha.

[ Entra un servo, poi Lucrezia Contarini. ]

SERVO
L'illustre dama Foscari.

DOGE
(Altra infelice!) Venga.

[ Il servo parte. ]

(Non iscordare, Doge, chi tu sia.)
[ a Lucrezia! Andandole incontro ]

Figlia . . . t'avanza . . . Piangi?

LUCREZIA
Che far mi resta, se mi mancan folgori
a incenerir queste canute tigri
che de'Dieci s'appellano Consiglio? . . .

DOGE
Donna, ove parli, e a chi, rammenta . . .

LUCREZIA
Il so.

DOGE
Le patrie leggi qui dunque rispetta . . .

LUCREZIA
Son leggi ai Dieci or sol
odio e vendetta.

Tu pur lo sai che giudice
in mezzo a lor sedesti,
che l'innocente vittima
a'piedi tuoi vedesti;
e con asciutto ciglio
hai condannato un figlio . . .
L'amato sposo rendimi,
barbaro genitor.

DOGE
Oltre ogni umano credere
è questo cor piagato! . . .
Non insultarmi, piangere
dovresti sul mio fato . . .

Ogni mio mio ben darei . . .
gli ultimi giorni miei,
perchè innocente e libero
fosse mio figlio ancor.

LUCREZIA
L'amato sposo rendimi,
barbaro genitor.

Di sua innocenza dubiti?
Non la conosci ancora?

DOGE
Sì . . . ma intercetto un foglio
chiaro lo accusa, o nuora.

LUCREZIA
Sol per veder Venezia
vergò; perdè lo scritto.

DOGE
È ver, ma fu delitto . . .
LUCREZIA
E aver ne dêi pietà.

DOGE
Vorrei . . . nol posso . . .

LUCREZIA
Ascoltami:
Senti il paterno amore . . .

DOGE
Commossa ho tutta l'anima . . .

LUCREZIA
Deponi quel rigore . . .

DOGE
Non è rigore . . . intendi?

LUCREZIA
Perdona, a me t'arrendi . . .

DOGE
No . . . di Venezia il principe
in ciò poter non ha.

LUCREZIA
Se tu dunque potere non hai,
vieni meco pel figlio a pregare . . .
Il mio pianto, il tuo crine, vedrai,
potran forse ottenere pietà.
Questa almeno, quest'ultima prova,
ci sia dato, signor, di tentare;
l'amor solo di padre ti mova,
s'ora il Doge potere non ha.
DOGE
(O vecchio padre misero,
a che ti giova trono,
se dar non puoi, né chiedere
giustizia, né perdono
pel figlio tuo, ch'è vittima
d'involontario error?

Ah, nella tomba scendere
m'astringerà il dolor!)

LUCREZIA
Tu piangi . . . la tua lagrima
sperar mi lascia ancor!

Fine dell'atto primo.


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Libretto input by Stephen L. Parker
17th July 1997