Last updated: Feb. 13, 1997
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Rossini: ElisabettaElisabetta regina
d'Inghilterra
libretto di Giovanni Federico Schmidt
musica
di Gioachino Rossini
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ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Sala
regia. Trono.
Norfolk, Guglielmo e cavalieri, situati in ordine, attendono
l'arrivo della regina.
Guardie.
Introduzione
CORO
Più
lieta, più bella
apparve
l'aurora;
malefica stella
dal cielo sgombrò.
Del raggio di
pace
il
sole s'indora;
di Marte la face
estinta restò.
NORFOLK
(Oh
voci funeste,
che aborre quest'alma!
La rabbia m'investe:
più calma
non ho.
(Il suono de' militari strumenti in distanza, che si avvicina
di grado in grado,
annunzia l'ingresso in città delle armi vittoriose
condotte
da Leicester.)
CORO
Udite... S'avanza
l'invitto campione,
de'
cori speranza
delizia
d'Albione,
d'Elisa sostegno,
del regno splendor.
NORFOLK
(Che
smania! che affanno!
Destino tiranno!
Avvampo di sdegno,
m'uccide
il dolor.
GUGLIELMO (tirando Norfolk in disparte)
Nel giubilo
comun,
signore, tu solo
parte non prendi in sì felice giorno?
Perché? Rimira
intorno:
vedi qual gioia a ognun siede sul ciglio.
NORFOLK
(Importuno!)
Guglielmo,
s'io godo al comun bene,
lo sa il Ciel, tu lo sai,
che appien conosci
il sensibil
mio cor.
GUGLIELMO
(Così potessi
ignorar qual tu
se'.)
NORFOLK
Ma in veder che a' trofei
dell'anglico valore
parte io
non ho, mi reca affanno al core.
(Elisabetta entra con seguito di
dame, cavalieri,
paggi e guardie. Tutti s'inchinano.)
CORO
Esulta, Elisa, omai
in giorno sì beato.
Cangiò sembianza il fato;
tutto cangiò per
te.
L'invitto eroe vedrai,
deporti i lauri al pie'.
ELISABETTA
Quant'è
grato all'alma mia
il
comun dolce contento!
Giunse alfine il bel momento
che c'invita a
respirar.
CORO
Dopo tante rie vicende,
real donna, a pace
in seno
tu ritorni a riposar.
ELISABETTA
Questo cor ben lo
comprende,
palpitante
dal diletto.
(Rivedrò quel caro oggetto
che d'amor mi fa
brillar.)
CORO
Possa ognor, felice appieno,
teco l'Anglia
giubilar.
ELISABETTA
Grandi del regno, è questo
il più bel giorno di
mia vita.
Coronò la vittoria
agli Angli il crine.
Del forte duce, a cui deve la patria
ogni suo ben,
risuona
ovunque il nome, e tanta fama ei gode,
che al suo merto è minor
qualsiasi lode.
Pur da noi non si lasci
d'onorar la presenza
di sì
nobil campion. Qui lo scortate.
GUGLIELMO
Ei s'affretta al tuo piè.
ELISABETTA
(Qual gioia?) Andate.
(I grandi vanno
all'ingresso a ricevere
il vincitore; Norfolk a stento li segue;
Elisabetta, assistita da
Guglielmo,
va sul trono. Leicester
entra accompagnato da'
primari uffiziali, a seguito da più nobili Scozzesi,
tra i quali sono Matilde, sotto spoglie
virili, ed Enrico.)
CORO
Vieni,
o prode, qui tergi i sudori;
con gli olivi di pace gli allori
vieni
il crine onorato a fregiar.
Tutto cede al tuo braccio possente;
per
te riede ogni volto ridente;
per te cessa ogni lungo
penar.
LEICESTER
Alta
Regina, invano
lo Scotto altero al nostro ardir si oppose.
Col
nome tuo sul labbro
gli
Angli pugnarono, e, al rimbombar delle armi,
dal vincitor l'udìa
il
nemico
guerrier mentre perìa.
Di rea discordia omai
spenta è la face.
Al
tuo poter soggiace
chi spezzarlo tentò.
D'uopo non hai
più del
nostro
valore; onde al tuo piede
del comando delle armi,
che degnasti
affidarmi,
eccoti il segno.
(Depone sui gradini del trono il bastone del comando.)
Esulti Elisa e teco esulti il regno.
ELISABETTA
Giovane eroe,
quanto per me facesti,
quanto
a pro della patria usò finora
del tuo gran cor la fede,
d'ogni dono
è maggior, d'ogni mercede.
Obbligarlo non so. Ti appressa. Intanto
abbiti
questo pegno
della grata alma mia.
(Leicester si prostra, Elisabetta
togliendosi dal petto un ordine cavalleresco, ne fregia
di sua mano il
duce.)
LEICESTER
Oh generosa!
NORFOLK
(Oh rabbia!)
MATILDE
(Oh gelosia!)
(Al cenno di Leicester si avanzano gli Scozzesi,
e si prostrano alla Regina,
presentandole
i preziosi tributi che recano sopra de' bacili da un bianco velo.)
LEICESTER
Questi, sovrana eccelsa
germi di chiara stirpe
illustri
ostaggi,
proni al tuo soglio vedi.
Que' preziosi arredi
ch'oggi
t'invia la sottomessa Scozia...
(Sospende il discorso nel riconoscere tra
gli ostaggi la consorte ed il cognato.)
(Oh cieli!... che mai vegg'io...
Stelle!... Matilde!... Enrico!...
È un sogno il mio?)
ELISABETTA
(agli ostaggi)
Sorgete.
Entro la reggia
avrete asilo. All'onorevol grado
de' paggi miei
v'eleggo.
(Scende
dal trono.)
Londra festeggi in così lieto giorno
delle nostre
armi il fortunato evento;
sia partecipe ognun del mio contento.
(Elisabetta
nel ritirarsi guarda benignamente Leicester, donandogli la mano da
baciare.
Norfolk freme; Matilde fa lo stesso; Enrico, che se ne accorge, fa cenno
alla
sorella d'esser cauta. Ognuno ritirasi fuorché Leicester, il quale
va sull'ingresso ed ivi
trattiene
Matilde, ch'è l'ultima ad entrare, e fa che ella retroceda.)
SCENA
SECONDA
LEICESTER
Incauta, che festi!
Seguirmi perché?
Gli
effetti son questi
d'amore e di fe'?
MATILDE
La fede, l'amore
guidano il mio pie';
di sposa al timore
ritegno non v'è.
LEICESTER
Ma in tanto periglio...
MATILDE
Non basta consiglio.
LEICESTER
Ah! Trema per te!
MATILDE
Sol tremo per te!
A
DUE
Che palpito io sento!
Che crudo tormento!
Perplesso (perplessa), me stesso (stessa)
non
trovo più in me.
LEICESTER
Sconsigliata! e non sai che del tuo
sangue
la nemica maggior qui si ritrova?
Chi mai trasse a questo
passo
orribil, funesto?
MATILDE
Ahi! sposo... appena
fosti da me
diviso,
fama suonò che amore,
e l'amor più tenace, Elisabetta
per Leicester
nutria. Qual fosse, oh Dio,
allor l'affanno mio, chi spiegar mai
potrebbe?...
Ah!
viene Enrico.
(Entra Enrico)
LEICESTER
Tu, mio congiunto e amico,
di
cotanta
imprudenza
potesti mai complice farti?
ENRICO
Ah! Taci.
Ella
te'l dica; usai
ogni opra, ogni consiglio
per distorla, ma invan.
Vedendo troppo ostinato quel cor,
volli seguirla,
pensando in
queste
mura,
colla presenza mia, farla sicura.
LEICESTER
Vana
speranza!
E non pensate, incauti,
che di Maria Stuarda
qui proscritta è
la prole?
Ch'Elisabetta vuole
del vosro sangue il germe appien distrutto?
MATILDE
Oh
Dio!
ENRICO
Fa
cor, diletta suora;
l'avvenir men funesto lo spero ancora.
LEICESTER
Separarci convien. Destar sospetto
il favellar qui
a lungo ora potria.
Seguila, Enrico; ad ambo
la prudenza or sia guida,
e poi di nostra sorte il ciel decida.
(Vadasi in traccia di Norfolk,
del caro
verace amico in cui pongo ogni speme;
ei sol può invigorir un
cor che geme.)
(Parte.)
ENRICO
Andiam. Vuole il destino,
che teco io resti al fianco di colei,
che degli affanni nostri
fu primiera cagion.
MATILDE
Questo,
o germano,
è il dolor che mi uccide.
ENRICO
D'uopo abbiam
il coraggio.
Forse d'esperanza un raggio
il ciel pietoso fia che vibri
per noi.
MATILDE
Sperar non oso.
Sento un'interna voce
che
in lagrimevol suono
dice che nata io sono
a piangere e penar.
Ah!
se tolto un sol momento
tanto
orror da me sarà,
palpitar di bel contento
questo core allor potrà.
(Parte con Enrico)
SCENA SECONDA
Appartamenti
reali
NORFOLK
(Che
intesi!) In queste stanze, inosservato,
puoi, dolce amico, favellar.
(Che gioia!)
Prosegui.
LEICESTER
Un dì, dopo ostinata pugna,
terribil oragan sorge improvviso.
Da' miei prodi diviso,
in umile
capanna
m'è d'uopo ricovrar; quivi m'accoglie
vecchio pastor; Matilde,
che sua figlia credei,
si
offerse agli occhi miei: vederla e amarla
è l'opra d'un istante. Al nuovo
giorno
in campo io fo ritorno.
Tutto in breve a me cede;
ma, oh
Dio! del vincitore
in dolce schiavitù rimane il core.
NORFOLK
E
come di Matilde
sposo ti feristi?
LEICESTER
Grato all'amistade
di qual pastor, m'offersi
contro all'ostil furor d'essergli schermo.
Sento che illustre Scoto
in lui si nascondea; allor gli chiedo
la figlia
in moglie; il vedo
al
mio discorso impallidir; comprendo
che grave arcano ci cela: prego,
insisto;
di
Matilde e d'Enrico allor mi svela
l'origine real... Puoi figurarti
qual fu la mia sorpresa. All'amor mio,
tanto tenace, amor quanto
funesto,
pietà s'aggiunse...
Io già ti dissi il resto.
NORFOLK
A
grave rischio, amico,
i giorni tuoi, la gloria ponesti;
ma fu colpa
d'amore
e amor fa la tua scusa.
(Esulta o core!)
LEICESTER
Sant'amistade
tra gli affanni che
io provo,
almen qualche conforto in te ritrovo.
(Parte)
NORFOLK
(solo)
Stelle! T'inganni. Ah! Meglio
saria stato per te chieder aita
al mar fremente, alle voraci belve,
alle furie d'averno,
che non
ad un nemico,
qual ti fui, qual ti son...
(vedendo giungere Elisabetta)
M'offre vendetta
la total ruina.
(EIisabetta entra)
Colmo
di duol,
Regina,
d'un così lieto dì son io costretto
la gioia a funestarti.
ELISABETTA
Come!
NORFOLK
Oh Dio!
Favellar non poss'io... No: forza tanta
in me
non è.
ELISABETTA
Spiegati.
NORFOLK
Orrendo
arcano,
misera,
udrai... Deh! lascia...
Sì, lasciami tacer.
ELISABETTA
Parla.
L'impongo.
NORFOLK
T'ubbidirò. Leicester...
ELISABETTA
Che! Leicester...
NORFOLK
Avvinto in nodo
coniugal...
ELISABETTA
Che parli?
NORFOLK
Il ver.
ELISABETTA
Possibil
mai!...
Ah! T'ingannasti.
NORFOLK
No, non m'ingannai.
D'un degli ostaggi sotto
finte spoglie
la sua sposa si asconde;
l'accompagna il germano...
Ambi
son figli...
ELISABETTA
Prosegui... Ohimè!
NORFOLK
Mi
manca al dir la voce.
ELISABETTA
Figli di chi?
NORFOLK
Ti
nuoce il mio parlar.
ELISABETTA
Tutto saper io voglio.
NORFOLK
Figli a colei, che sì t'offese il soglio.
(Elisabetta, a queste
ultime parole cade sopra una
sedia ed ivi rimane immobile e
come fuori di sé. Norfolk, con volto
ipocrita,
si avvicina.)
Perché mai, destin crudele,
costringesti il labbro
mio!...
Ma fedele a te son io
mentre accuso un traditor.
ELISABETTA
Con qual fulmine improvviso
mi percosse irato il ciel!
Qual
s'addensa
orrendo velo
che mi colma di terror!
NORFOLK
Deh!
rammenta...
ELISABETTA
Taci... Oh Dio!
NORFOLK
Pensa al regno!
ELISABETTA
Oh Dio mi
lascia!
NORFOLK
Sventurata!
ELISABETTA
Fiera ambascia.
NORFOLK
Per te geme questo cor.
ELISABETTA
Lacerar mi
sento il cor.
(Misera! A quale stato
mi riserbò la sorte!
Stato peggior
di morte:
Più fiero non si dà).
NORFOLK
(Reggimi: in tale
stato,
deh: non tradirmi o sorte!
Vada il rivale a morte:
pago
il mio
cor sarà.)
Regina, ormai decidi.
ELISABETTA
Sì, perirà
l'indegno.
NORFOLK
(Sorte,
a' miei voti arridi.)
ELISABETTA
Sgombri da me pietà.
A
DUE
Quell'alma
perfida
non vada altera;
del fallo orribile
la pena avrà.
Fra cento spasimi
l'iniquo pèra,
eterno esempio
d'infedeltà
.
(Norfolk parte; entra Guglielmo.)
ELISABETTA
Guglielmo,
ascolta.
Pronte ad ogni mio cenno, sull'ingresso
sien le reali guardie. Va'.
Ma pria
qui Leicester invia... TrattientiŠ
(Oh affanno!
Dove io
mi sia
non so.) Di Scozia i paggi
tutti
raduna in questo loco.
GUGLIELMO
Il cenno
vado a compir.
(Parte.)
ELISABETTA (seduta)
Che penso,
desolata regina?...
A che mai serve
aver doma la Scozia e salvo il trono
se un'infelice
io sono?
Sconoscente! Ei pur vide
l'amor d'Elisabetta,
e in laccio
coniugal stringer pur volle
della maggior nemica sua la figlia!
Oh
delitto!...
Ma tremi
l'iniqua coppia. Son regina e amante.
Doppia vendetta...
Ecco l'indegno...
Oh istante!
(Leicester viene da un lato; Matilde ed Enrico co' giovani Scozzesi
dall'altro.
Leicester, che si sarà presentato con premura, nel vedere
la moglie,
si ferma ad un
tratto; Matilde e Enrico vedendo Leicester fanno lo stesso;
Elisabetta riconosce da' moti
e dalla confusione del volto la sua rivale
ed il fratello.)
LEICESTER
(Matilde!)
MATILDE
(Oh
cielo!)
ENRICO
(Oh incontro!)
ELISABETTA
(È dessa... Oh
rabbia!)
T'avanza, o duce...
A che t'arresti?
Io voglio men sommesso vederti.
Ti è noto che il primo
de' miei fidi tu sei, che tal ti estimo.
LEICESTER
Regina...
(che dirò?) Regina... (Oh Dio!)
L'umil tuo servo... a tanta
magnanima bontà...
(Mi perdo...)
MATILDE (facendo vedere la propria agitazione)
(Oh
pena!)
ENRICO (all'orecchio di Matilde)
Germana, ah! ti raffrena.
ELISABETTA
Non prosegui?
(dopo aver guardato a un tempo
Leicester,
Matilde ed Enrico)
Eh!
lascia omai
quell'importun ritegno...
(Geme, trema l'indegno.
Oh
piacer di vendetta!...) Ma coraggio
or ti darà la stessa tua regina.
Vieni,
giovane eroe.
MATILDE
Ah!
ELISABETTA (al sospiro di Matilde
benché sommesso, si volta a guardarla; poi dice a
Leicester):
T'avvicina.
Se mi serbasti il soglio
al campo dell'onor,
darti mercede
del tuo valor.
(A cenno d'Elisabetta si avanza un guardia;
la regina
le parla in segreto.)
LEICESTER
Donna real, deh! frena
sì generosi accenti...
LEICESTER,
MATILDE, ENRICO
(Oh Dio, resisto appena
a palpiti frequenti
del mio
dubbioso cor.)
ELISABETTA
(Benché fra' suoi tormenti,
avrà
vendetta
amor.)
(Ritorna la guardia, recando un bacile coperto da un drappo.)
LEICESTER
(Di qual merce' favella io non comprendo ancor.)
ENRICO,
MATILDE
(La mia perversa stella sempre divien peggiore.)
ELISABETTA
(che avrà furtivamente osservati
i moti di Leicester, di Matilde e d'Enrico,
ed i loro sguardi
d'intelligenza,
freme in segreto; si alza, poi, forzando se stessa, dice:)
Eccoti,
eroe magnanimo,
d'un grato core il pegno:
te riconosca il regno
per
mio consorte e re.
(Scopre il bacile indicato, che contiene lo scettro
e la Corona. Leicester ed i suoi
congiunti rimangono a tal vista oltremodo
confusi ed abbattuti. Elisabetta gode del loro
turbamento.)
LEICESTER,
MATILDE, ENRICO
(Qual colpo
inaspettato
a noi serbava il fato...
Il gelo della morte
tutto
s'aduna in me.)
ELISABETTA
(Al colpo inaspettato
che lor
serbava
il fato
il gelo della morte
impallidir il fe'.
(dopo qualche pausa)
Duce, in tal guisa accogli
d'una regina il dono?
LEICESTER
(tremante)
(Oh ciel!)
Deh!... Scusa... al trono
vassallo umil
non osa...
ELISABETTA
(Empio!)
ENRICO (piano a Matilde)
Ti frena.
MATILDE
(Che affanno!)
ELISABETTA
(Anima rea!)
A QUATTRO
(Spiegar il
duol ch'io sento
possibile non è.)
(Dopo breve scena muta, in cui andrà
crescendo l'agitazione de' due congiunti e
d'Enrico, Elisabetta, non
potendo
più raffrenarsi, proromperà come segue.)
ELISABETTA
Ah! che più
tollerar
non poss'io
un vassallo fellon, menzoniero.
Or la benda dileguisi
al vero:
ecco l'empia che infido ti fa.
(Nel dire queste ultime parole,
corre a Matilde, la prende
per un braccio,
trascinandola nel mezzo della scena.)
LEICESTER
(Che
mai vedo!)
MATILDE
(Deliro!)
ENRICO
(Son desto!)
A TRE
(Disvelato è l'arcano funesto...)
Ah! regina,
perdono, pietà.
(Cadono a ginocchio a' piedi di Elisabetta.)
ELISABETTA
Guardie,
olà!
(Entrano Guglielmo, guardie, cavalieri e dame.)
Quegl'indegni
sien serbati al mio giusto furore.
(Sol di rabbia si pasce il mio
cuore;
sol vendetta conforto
gli dà.)
GUGLIELMO E CORO
Come!... il duce! l'eroe
vincitore!...
Oh
stupor!... Giusto ciel! che mai sarà?
LEICESTER, MATILDE,
ENRICO
Schermo
siam di un perverso destinoŠ
ELISABETTA
Traditori, fremete
a' miei sdegni.
LEICESTER
Sposa...
MATILDE
Sposo...
GUGLIELMO
E CORO
Sposi!
ENRICO (abbracciando Matilde)
Germana...
ELISABETTA
Sien disvelti l'un l'altro dal seno.
LEICESTER,
MATILDE, ENRICO
Ah, regina,
perdono, pietà.
(Vengono a forza separati)
ELISABETTA
(Sol
si pasce il mio cor di veleno:
sol vendetta conforto gli dà.)
CORO
Fatal giorno! Impresata ruina!
Surse il sole sereno, ridente -
Or
declina - turbato, languente
e di lutto coprendo si va.
(Le
guardie conducono
a forza i congiunti da parti opposte ed ognuno confusamente
ritirasi)
FINE
DEL PRIMO ATTO
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Appartamenti.
Entrano
Elisabetta e Guglielmo.
ELISABETTA
Dov'è Matilde?
GUGLIELMO
(accennando ad un degl'ingressi)
Attende colà i tuoi
cenni.
ELISABETTA
A me si guidi e poi venga Leicester.
GUGLIELMO
Di pietà potresti?
Ah! sì, pietade è in te...
ELISABETTA
Vanne: intendesti?
(Guglielmo entra dov'è Matilde. Matilde entra con
guardie. Al cenno d'Elisabetta
le
guardie si ritirano.)
T'inoltra. In me tu vedi
il tuo giudice, o
donna.
MATILDE
Ho un cor bastante
per ascoltare, intrepida, il
mio fato.
ELISABETTA
Vuole ragion di stato,
che tu, nemica mia,
che il tuo germano,
che un vassallo sleale
sopra palco ferale
d'un'odiosa
trama
la pena abbiate. Ma pietà favella
d'Elisabetta in sen. Scrivi.
Rinunzia
ad ogni diritto tuo
di Leicester sul cor. Così da morte
vi potrete sottrar...
(Matilde
freme.)
Cedi alla sorte.
MATILDE
Ah! più d'ogni supplizio
è questa tua pietade.
ELISABETTA
Non cimentar la tolleranza
mia.
Siedi, scrivi, rinunzia.
MATILDE
Invan...
ELISABETTA
Custodi . ..
MATILDE
Ah! senti...
ELISABETTA
Scrivi.
MATILDE
Sfoga
sol contro me tutti gli sdegni tuoi;
ma il
consorte, il germano...
ELISABETTA
Scriver non vuoi?
Pensa che
sol per poco
sospendo l'ira
mia;
quanto più tardi fia,
più fiera scoppierà.
MATILDE
Salva
il germano, lo sposo,
s'è ver che giusta sei;
puo' troncar i giorni
miei
te'l chiedo per pietà.
ELISABETTA
Resisti ancora?
MATILDE
Oh Dio!
ELISABETTA
Rinunzia!
MATILDE
Invan!
ferma! oh Dio!
Ti mova il pianto mio.
ELISABETTA
Non bastan
quelle lagrime
a impietosirmi il cor.
MATILDE
Vorrei stemprarti
in lagrime,
mio desolato
cor.
(Elisabetta con gesto imperioso accenna a Matilde di sedere al
tavolino
e di scrivere.
Matilde tremante si accosta, siede, pensa e si alza per
retrocedere;
Elisabetta è in atto di
chiamare le guardie; Matilde la trattiene,
e si pone a scrivere; in questo comparisce
sull'ingresso Leicester non
veduto
dalle due donne).
LEICESTER
(Misero me!... La sposa
dolente
ed affannosa!...
Che mai sarà quel foglio?...
S'accresce il mio
penar.)
MATILDE
(Qual è
il dolor che uccide,
s'io reggo al mio dolor?)
(Elisabetta vede
Leicester.)
ELISABETTA
Debitor le sei di vita;
leggi, o duce, e poi
l'imita.
Dell'error, del tradimento
pentimento io voglio in te.
MATILDE
(mentre Leicester va al tavolino e legge)
(Tremo.)
LEICESTER
Oh ciel!
A TRE
(L'avverso mio destino
sì fiero io non
credei.
Quanto crudel tu sei!
Quanto mi costi amor!)
LEICESTER (a
Matilde)
Sconsigliata, che facesti!
(ad Elisabetta)
Ah! comprendo: in lei sapesti
violentar l'amor,
la fe'.
Ma t'inganni...
MATILDE
Odi...
LEICESTER
No!
ELISABETTA
Rifletti...
LEICESTER
No! A tal prezzo
non voglio...
ELISABETTA
Trema...
LEICESTER
...conservare
il viver mio.
MATILDE
Costanza!
LEICESTER
Serbo un cor
che vil non è.
(Lacera il foglio.)
ELISABETTA (alle guardie)
Olà!
Ah! Fra poco, in faccia
a morte
cesserà cotanto orgoglio,
ed allor quell'alma forte
fia
costretta a vacillar.
LEICESTER
Quell'ardir che in faccia a
morte
ti
difese e vita e soglio,
serberà quest'alma forte,
non avvezza a
vacillar.
MATILDE
Ah! s'affretti pur la morte,
affrontarla io deggio
e voglio;
non sarà quest'alma forte
più ridotta a vacillar.
(Leicester
e Matilde partono, scortati dalle guardie.)
GUGLIELMO
Chiede Norfolk
a te l'accesso.
ELISABETTA
Oh indegno!
Va', digli che al suo labbro
debbo gli affanni
miei; digli che in premio
di sua finta amistade
verso d'un infelice,
ancorché infido,
disgombri al nuovo sol da questo lido.
(Parte.)
GUGLIELMO
Oh giusto cielo! Alfine
il vero non trovo inciampo
onde
giungere al trono: è alfin palese
quel doppio cor, d'iniquità
ricetto...
Il
regio cenno ad eseguir m'affretto.
(Parte.)
SCENA
SECONDA
Atrio
contiguo al carcere
POPOLO
Qui
soffermiamo il pie'...
Il tetro asil quest'è
dove un barbaro
fato condannò
chi la patria salvò da fiera sorte.
SOLDATI
Miseri
noi! chi sa
se involarsi potrà
il nostro duce amato a
tant'orror?
Forse
colpa d'amor lo spinge a morte.
TUTTI
Qui soffermiamo il piè,
ecc.
(Il popolo ed i soldati si avvicinano all'ingresso delle carceri. Entra
Norfolk.)
NORFOLK
(Che intesi!... Oh annunzio!...
Ouesta è la
merce'
ch'io merto?...
Anche fra
lacci mi nuocerà costui!...
Norfolk, che pensi?
L'ingiusto esilio
sopportar
potrai?
Come a tanto rosso resisterai?)
SOLDATI
Oh nostro duce
amato!
NORFOLK
(Duce!... Ah! comprendo
appien...)
POPOLO
Barbaro
fato!
NORFOLK
(Qui si compiange il mio nemico,
tutto congiura
a' danni miei...
Che risolvo?... Oh vendetta,
col manto di pietà ti
copri. All'arte!
Amici, io vengo a parte
d'un così giusto
affanno.
E sarà
vero che il prode
salvatore
della patria
perir debba così?
Lo soffrirem?
CORO
Non mai.
NORFOLK
Ebben, m'udite. Assai
può giovarvi Norfolk. Già cade il
sole:
al prigionier men vo. Se non poss'io
sottrarlo a' ceppi suoi fra
brev'istanti,
del carcere l'accesso
vi schiuderete, amici,
colla forza
e il valor.
CORO
Signor, che dici!
Mancar di fede al trono
saria cotanto ardir.
NORFOLK
Ah! troppo ignora
del
duce sventurato
Elisabetta il cor;
lo crede reo
di lesa maestà, mentre quel core
colpevole non è: lo scusa
amore.
Deh! Troncate i ceppi suoi;
deh! serbate a Elisa, al regno
il
più grande fra gli eroi,
il più degno di pietà.
CORO
Or ci
guida.
Ogni alma fida
pronta aita lui a darà.
NORFOLK
(Vendicar saprò
l'offesa;
di furor questa alma accesa
quell'ingrata punirà.)
CORO
Or ci guida, ecc.
NORFOLK
Non ha core chi non sente
la
possanza d'amistà.
CORO
Non ha core, ecc.
(Il popolo ed i soldati partono seguendo Norfolk.)
SCENA TERZA
Interno di un ampio carcere a volte, rischiarato in
parte da un lampione; scala a
sinistra, che conduce ad una chiusa
porta nell'alto;
altra piccola porta murata in fondo,
che a suo tempo vien diroccata;
ingresso comune da un lato.
LEICESTER (solo)
Della cieca fortuna
un triste esempio,
lasso! in me trovo. In questo giorno il sole,
testimonio
di gloria,
sorgeva a rischiarar
la mia vittoria.
Tramonta appena il sole, e in lutto
per me si
cangia il tutto.
(Siede.)
Ma d'uopo han di conforto
dopo lungo
vegliar,
le stanche membra,
e, mio malgrado, al sonno
sento che gli occhi
miei regger non ponno.
(Si addormenta e parla in sogno.)
Sposa amata...
respira...
Cessan gli affanni nostri...
È il ciel placato...
Tergi
quel pianto ormai...
Idolo del mio cor... penammo assai...
Deh!
sposa...
ascolta... non fuggir...
T'arresta.
(Si sveglia e si alza ad un tratto.)
Ohimè!... dove son io?...
larva fu questa.
Fallace fu il contento,
certa è la mia sciagura.
Immerso, oh Dio! mi sento
nel primo affanno il cor.
Saziati, o
sorte irata:
apriti o terra, e invola
quest'alma desolata
a
tanto suo
dolor.
E l'adorata sposa,
e l'innocente Enrico
per sopportar sì
fiera
perir dovranno!... Oh Dio!
immagine d'orrore,
converria
di macigno
avere il core.
(Norfolk
entra con due guastatori.)
NORFOLK
Amico...
LEICESTER
Ciel!...
ti scosta.
NORFOLK
Così m'accogli!
LEICESTER
Pria
di venire al mio sen,
dimmi, non deggio
il presente mio stato
al
tradimento tuo?
NORFOLK
Che parli? Ingrato?
Mi conosci sì poco?
Eccoti il ferro:
Vibralo in me, se vuoi, ma l'onor mio
così non
oltraggiar.
LEICESTER
Ma Elisabetta...
NORFOLK
Scoperse il
ver, né so dir come. A lei
diressi
i preghi miei.
Che non feci e non dissi onde quel core
impietosir
per te? Vana speranza!
Voglio salvarti,
felice io voglio farti
e
ad ogni costo.
LEICESTER
Come?
NORFOLK
Odi... Ma pria
mira colà. Matilde
e il suo german divide
da te quel chiuso varco.
LEICESTER
Oh ciel!
NORFOLK (a' guastatori, che si accingono ad atterrare
il muro della piccola porta nel
fondo)
Quanto vi dissi,
s'eseguisca.
(a Leicester)
Fra
poco stringerli al sen potrai.
LEICESTER
Oh generoso! Oh degno...
NORFOLK
Del tradimento mio sia questo un segno.
LEICESTER
Deh! scusa i trasporti
d'un misero oppresso;
errai, lo
confesso;
pentito
son già.
NORFOLK
(Costui di vendetta
mi schiude la via;
poi vittima sia;
estinto cadrà.)
LEICESTER
Non parli?
NORFOLK
L'offesa a te perdona
quest'anima accesa di pura amistà.
A DUE
Ritorna al mio
seno,
confortati (confortami) appieno;
felice ti (mi) renda
la mia
(tua) fedeltà.
NORFOLK
Unita alle schiere,
la plebe dolente,
attorno fremente
scorrendo sen va.
LEICESTER
Che narri!...
E pretende?
NORFOLK
Troncar tue ritorte.
Suo duce ti attende...
LEICESTER
Che ascolto!
NORFOLK
La sorte
per te
cangerà.
LEICESTER
Non sia! Va...
NORFOLK
Ma senti...
LEICESTER
Ribelle del soglio!...
NORFOLK
Soccorso a momenti...
LEICESTER
Nol curo,
nol voglio:
orrore mi fa!
NORFOLK
Al fato crudele
soccombi, infelice,
se troppo fedele
quell'alma sarà.
LEICESTER
Il fato crudele
può farmi infelice
ma sempre fedele
quest'alma sarà.
(I due
guastatori, avendo diroccato il muro della porta, s'inoltrano nella medesima,
indi escono e si ritirano in dove son venuti.
Nell'atto che Norfolk vuol
far premure a Leicester, si
sentono stridere i cardini
dell'altra porta nella sommità della scala,
da cui
discende Elisabetta, preceduta da una
guardia che reca una face. Norfolk,
scorgendo la regina, timoroso a tal vista, è in atto di
partire, ma,
cangiando
pensiero, si cela dietro ad un pilastro in corta distanza
dell'ingresso
aperto poco prima, sul cui limitare si mostrano Enrico e Matilde.
L'oscurità
nel luogo del fondo non fa distinguerli da Norfolk né dagli altri. Leicester,
meravigliato in vedere
la sovrana, rimane confuso mentre ella scende. La guardia, dopo
aver posato
la face, si ritira al cenno d'Elisabetta.)
LEICESTER (Prostrandosi)
Tu,
regina!... deh! come...
ELISABETTA
Taci.
NORFOLK
(Io
tremo...
Che mai sarà.)
MATILDE (sotto voce ad Enrico)
Cielo!
Ella stessa!
ENRICO (come sopra a Matilde)
Il piede non inoltrar.
MATILDE (come sopra, vedendo Norfolk.)
Costui perché celato?
ENRICO
Udiam; t'accheta
omai.
ELISABETTA (giunta al basso)
Misero ascolta.
Ecco
l'ultima
volta
che ti è dato di vedermi. A' danni tuoi
favellaron le leggi, e
i grandi a morte
ti condannaron già. La tua regina
approva la sentenza:
Elisabetta far non lo potria.
(accennando la scala)
Per quella
ignota
via
ella t'offre uno scampo; va', t'affretta;
la regina or non v'è,
ma Elisabetta.
LEICESTER
Oh eccelsa donna!... Amore
mi
fece reo,
ma non ribelle al trono.
S'io
m'involassi alla mia pena, il mondo
tale mi crederia. Lascia ch'io pèra.
Mostrati generosa
a Enrico, alla mia sposa;
li salva; altro non
bramo.
ELISABETTA
Un impossibil chiedi.
L'empio Norfolk che ti
accusò...
LEICESTER
Che dici! Norfolk!
NORFOLK
(Oh
ciel!)
ELISABETTA
Matilde e suo germano
al cospetto de' grandi,
nomò
complici tuoi contro lo stato.
LEICESTER
Norfolk!
ELISABETTA
Scellerato
tardi
il conobbi; ognuno tacea. Punirlo
volli di sua finta amistade, e
ognuno
di
qual tempra è quel cor mi fe' palese.
NORFOLK
(Ohimè!)
LEICESTER
Che mai tanta perfidia intese!
Ah! Regina, al riparo. Il traditore
qui poc'anzi sen venne; a me fingea
fida amistà; volea farmi capo
della plebe.
ELISABETTA
Oh Dio!
NORFOLK
(Ah! perduto
son io!)
LEICESTER
Deh! Corri!
MATILDE (ad Enrico
accennando
Norfolk)
MiraŠ
ENRICO
(vedendolo posar la mano sull'elsa della spada)
Ei stringe il brando.
ELISABETTA
(dopo aver pensato)
L'empio si preverrà.
(in atto di
scendere la scala)
NORFOLK (avventandosi colla spada ad
Elisabetta)
Ma
pria la morte avrai.
ELISABETTA
Cielo! ...
ENRICO, MATILDE
Fermati! ...
NORFOLK
Ohimè!...
LEICESTER
Mostro!
che fai!
(Enrico e Matilde disarmano Norfolk; Enrico gli pone al petto la
punta della spada,
afferrandogli
il braccio destro; Matilde gli afferra il braccio sinistro; Leicester si
para
d'innanzi ad Elisabetta.)
ELISABETTA
Olà,
Guglielmo!...
LEICESTER
Guardie!...
(Guglielmo e guardie entrano con faci, dalla
scala.)
GUGLIELMO
Mia sovrana...
ENRICO, MATILDE
Vivi
regina!
LEICESTER
Vivi, e vivi al regno.
NORFOLK
Oh
destin!
ENRICO, MATILDE
Traditor!
LEICESTER
Barbaro!
ELISABETTA
Indegno!
Fellon
la pena avrai
dovuta a tanto eccesso.
Dove s'intese mai
più
scellerato cor!
S'aggravi di ritorte;
vada l'iniquo a morte;
terribil
fia lo scempio
d'un empio traditor.
(Norfolk è condotto dalle guardie
nel fondo del carcere.)
ENRICO, MATILDE
Deh! calmati.
LEICESTER,
GUGLIELMO
Respira.
A QUATTRO
E il ciel pietoso ammira
de'
regi difensor.
ELISABETTA
Bell'alme generose,
a questo sen
venite.
Vivete, omai gioite;
siate felici ognor.
(Dopo aver abbracciato Matilde ed Enrico, li fa
avvicinare a Leicester.)
A QUATTRO (Ad Elisabetta)
Oh grande!
CORO
(di dentro)
Leicester!Š
A CINQUE
Quai grida!
CORO
(di dentro)
Vederlo vogliamo
morire al suo pie'.
(Vedonsi
spalancare
le porte del carcere. Entra il Coro, di soldati e popolo.)
LEICESTER
Audaci! rispetto, frenate...
ELISABETTA (alle guardie che vogliono
opporsi alla moltitudine)
FermateŠ
Sì tenero affetto
punibil non è.
CORO (prostrandosi)
La
regina!... A' piedi tuoi
imploriam pietà, perdono...
ELISABETTA
Ecco il duce: il rendo a voi,
rendo al trono il difensore.
CORO
Viva Elisabetta! L'eroina,
lo splendor di nostra età.
ELISABETTA
(Fuggi
amor da questo seno,
non turbar più il viver mio.
Altri
affetti non vogl'io
che la gloria e la pietà.)
CORO
Viva
Elisabetta,
ecc.
FINE