A tutti, se vuole, la donna la fa.
Anelli.
A Milano sono da qualche decennio scomparsi quelli che ricordavano una signora vecchissima, ma ancora eretta, con grandi occhi neri che nel loro fulgore superstite facevano pensare ad ignote misteriore potenze della giovinezza.
Questa donna aveva un'espressione fierissima ed un occhio da domatrice. Nella sua gioventù aveva infatti saputo domare il bey di Angeri. E non per nulla Chopin aveva affermato di veder annidarsi negli occhi della Sand il peccato, mentre De Musset esclamava di un'amica: elle avait les yeux du sphinx, terribles, si grands, si grands, si grands;!
Antonietta Suini, la dama che ricordiamo, nel 1805 fu protagonista di un'avventura tragicoromantica. Essa fu rapita da corsari algerini e visse qualche tempo nell'harem del bey, d'Algeri. Ma il suo nome non doveva comparire nel suggestivo libro: Les harems d'Orient della Belgioioso rievocata con tanto magistero di verità dal nostro insigne Raffaello Barbiera.
Erano i tempi che ancora vedevano i mari verso le rive africane infestate da pirati. I cavalieri di Malta che poco dopo dovevano cedere, senza neppure la gloria di un simulacro di resistenza, al primo Napoleone, più non possedevano l'antica forza sui mari per combattere i pirati e liberare gli schiavi cristiani che, con cruenta insolenza, quelli andavano catturando.
E non sempre la croce della capitana di Malta rimaneva vittoriosa sulla mezzaluna o sulla bandiera nera dei pirati.
Viaggiando la dama lombarda per diporto sopra un veliero nel mare Tirreno, fu catturata la nave dagli algerini con due sciabecchi, e la donna con altre prede, fu portata ad Algeri nell'harem del bey, al quale usavasi fare, il presente di qualche bellezza. Due furono le ragazze milanesi rapite in quell'incontro, non una soIa.
Ignorate rimasero le vicende della prigioniera, le quali però valsero a fornire argomento di un'opera giocosa, che dopo un secolo non fu ancora obliata.
La sera dei 9 agosto 1815 alla Scala fu data l'Italiana in Algeri di Gioachino Rossini, immortale maestro del sorriso: ne fu protagonista la Marcolini. L'opera buffa fu ripetuta per quarant'otto sere. Come dicemmo l'argomento fu tratto appunto dalle avventure della bella ``cisalpina'' in Oriente, della quale qualche mala lingua andava sussurrando che il rapimento era stato una inscenatura, ma a torto.
Autore del libretto era Angelo AnneIli di Desenzano, nato nel 1761 e morto nel 1820, un poeta che non ebbe certo raccomandata la propria fama a quel libretto. L'Anelli, nelle Cronache di Pindo tr1nciava giudizi feroci contro prosatori e poeti affardellando tutto in quel pesante poema in sette libri.
Antonietta Suini, milanese, era sorella della Frapolli-Ruga e zia della Margherita Teado, la quale, maritata ad un ottimo uomo, Carlo Ruga (uno di quelli che non parlano fra le gaudenti dell'antica società milanese), divenne l'amica del principe Belgioioso, poi di quel Vincenzo Toffetti, ultimo nobile inscritto nel libro d'oro della Serenissima, il quale, morta l'amica, per il dolore, si fece frate e morì il 22 ottobre 1866 a S. Remo. Cose che avvenivano un tempo!
La bella milanese, giunta ad Algeri, fu presentata al bey che governava in nome del sultano d'Algeria. Dal 1799 era bey Baba-Hassen pascià al quale nel 1806 succedette Mustafà-lbn-Ibrahim, e due anni dopo Ahmed-ibn-Alì. Fu sempre ritenuto che il pascià invaghitosì della milanese fosse Mustafà salito al trono, come dicemmo, nel 1806, l'anno dopo del rapimento. Pochi anni dopo gli algerini venivano finalmente domati dalle armi di Francia, l'ammiraglio Duperre sbarcava a capo di una flotta francese 30.000 uomini a Sidi-Ferruk il 14 giugno 1830, e venti giorni dopo, il 5 luglio, le truppe del generale Bourmont entravano in Algeri inalberando la bandiera di Francia sul castello detto dell'Imperatore.
Così fu vendicata l'ingiuria arrecata dal bey Hussein al console francese.
Là dove sorse la romana Icosium dalle leggendarie origini d'Ercole e dove Arondi respinse la spedizione spagnuola guidata da don Diego de Vera, Antonietta Frapolli seppe dominare l'harem del bey, confermando fin d'allora quello che l'Anelli più tardi seriveva nel libretto dell'opera:
Le femmine d'Italia
son disinvolte e scaltre
e sanno più dell'altre,
l'arte di farsi amar.
Olimpia Audouard finiva dopo molte avventure, odalisca in un serraglio al Cairo.
Quando all'avventurosa dama milanese, si rammentava il soggiorno in Algeri (ricorda il Barbiera nelle ``Passioni del Risorgimento''), essa rispondeva soltanto con un sorriso. E ad essa, come alla sorella di Milano, non era ignota l'arte che Isabella nell'Italiana in Algeri bene esprimeva:
Già so per pratica qual sia l'effetto
d'un guardo languido d'un sorrisetto....
so a domar uomini come si fa.
Tutti la bramano tutti la chiedono
da vaga femmina felicità.
E Gioacchino Rossini, grande spirito di umorista, non lasciò sfuggire tale primizia per un'opera che doveva ottenere tutto il successo conseguito.
Nella famiglia di lei non si amava di ricordare l'avventura, che in gran parte a molti rimase sconosciuta. Ma certo nell'harem algerino non aveva incontrato troppi dolori. Essa fu veramente avvenente e formosa donna e tale come Mustafà la definisce: «Oh, che pezzo da sultano!» A cinquant'anni, appena ne dimostrava una trentina. Per essa non avrebbe potuto valere il verso di Guido Gozzano:
la quarantina
spaventosa l'età cupa dei vinti.
Nelle memorie inedite del vice-presidente del Governo di Lombardia, don Giovanni Bazzetta, morto a Milano nel 1827, dopo aver partecipato alla Reggenza del 1814 e ad alti uffici di governo, è scritto: «Nell'anno 1805 avvenne da parte delle bande algerine scorritrici del mare, il rapimento di Antonietta Frapolli di questa città di Milano, mentre in un veliero con altri viaggiatori passava sul mare Mediterraneo fra Sicilia e Sardegna e fu tratta con quelli alla corte di quel pascià, in Algeri, dove di essa si invaghi quello che in Algeri aveva comando. Come la notizia della sua prigionia fu pervenuta, dopo più di tre anni, in Milano e nati da ciò molti parlari in tutta la città, di sua liberazione si prese interesse questo Governo non potendosi compatire che ancora da corsari levantini si potessero rapire persone di qualità, ma non fu possibile venire a capo di liberarla. Solo dopo qualche tempo essa fece ritorno in questa città di Milano, nè mai si seppe precisamente per quali vicende uscisse di schiavitù, restandosi tutti in dispetto che quei corsari per la loro insolenza non potessero essere penduti ad altissime forche a salutare spettacolo dei lidi tutti d'Africa e di Soria». Non credo vi siano documenti nell'Archivio di Stato in Milano intorno a quel rapimento.
Negli stati barbareschi e in Turchia una bella europea saliva a prezzi d'affezione, v'è memoria di una giovinetta francese venduta per una somma corrispondente a 200.000 lire italiane, col valore della moneta d'allora la somma sarebbe di un milione.
Infatti l'Antonietta Frapolli venne poi in Italia con un vascello veneziano. Non si seppe mai precisamente come abbia potuto lasciare Algeri, ma pare, (a quanto alcuni anni or sono raccontava una vecchia signora milanese che la conobbe) che senza riscatto sia ritornata libera.
E sembra altresi che sia vero in parte l'intrigo tessuto, nell'harem del bey, pervenendo con una delle sue donne, che bramava riacquistare l'amore del pascià perduto per opera della bella italiana, a fuggire dalla città, veleggiando verso la patria.
Delle sue avventure è rimasta, coll'opera rossiniana, la grande verità contenuta nella cabaletta finale.:
La bella italiana venuta in Algeri,
insegna agli amanti gelosi ed alteri,
che a tutti, se vuole, la donna la fà.
verità che dall'Ariosto era stata qualche secolo innanzi dimostrata in un canto salace dell'Orlando Furioso.
Il Sultano rosso Abul-Hamid, si dice fosse pronipote di una nantese, la signorina du Buc de Rivery, cugina della signora La Pagerie. che divenne poi l'imperatrice Giuseppina.
La signorina de Rivery, nata nel 1766 alla Martinica, come la Pagerie, inviata a Nantes per compirvi la sua istruzione nel convento delle dame della Visitazione, lasciava il collegio nel 1784 per ritornare in famigliia. Ma dal convento doveva passare in un harem!
La nave su cui esa si era imbarcata stava per affondare durante una tempesta quando fu soccorsa da una nave spagnuola che raccolse l'equipaggio ed i passeggeri.
Questa, mentre stava per raggiungere la destinazione fu assalita e catturata da un corsaro algerino.
La signorina du Buc de Rivery fu condotta ad Algeri, dove il bey colpito dall sua bellezza, per ingraziarsi il sultano, gli inviò in dono la fanciulla.
Il sultano Selim non fu insensibile agli incanti della giovine, che divenne la sultana preferita, e nel 1808 avendo suo figlio, nato nel 1785, preso le redini dell'impero turco, sotto il nome di Mahmoud II, essa divenne la sultana validè.
I corsari, provveditore degli harems d'Oriente, erano desiderosissimi di catturare donzelle e dame europee, merce scelta e ambita, come le more ed altre orientali per Venezia repubblicana.
Di altri rapimenti si hanno notizie ne secolo XVIII e sul principio del XIX, sino verso il 1825 e 30.
Olimpia Audouard passò qualche tempo in un serraglio, ma non vi lasciò la vita.
Olimpia Audouard, nata Felicitè Olympe de Jouval scrisse nei suoi viaggi Les mystères du Sérail et des harems Turcs (1863) e Les mystères de l'Egypte Dévoilés (1864) pubblicati, se non erro, da Dentu; morì a Nizza nel 1890; erasi divisa nel 1885 dal marito, il notaio marsigliese Alexis Audouard.
Nel secolo XVI il numero degli schiavi europei s'innalzava a più di 36.000 in Tunisia, nel 1634 Algeri aveva 25.000 prigionieri europei, fra i quali più di 2000 donne, Tunisi 700, Salè 1500, Tripoli 500.
Epiche lotte condussero i cavalieri di Malta contro i pirati barbareschi con alterne vicende.
Chiamavansi bagni i luoghi dove quegli infelici erano raccolti; Algeri ne contava sei: quello del pascià ch'era il più spazioso, quelli di Ali-mami capitano generale delle galere, di Zidi-Hassan, di Santa Caterina, così detto perchè i Trinitarii vi avevano eretta una capella, di Kulugli. A Tunisi ve ne erano nove: di Fessuf-bey, di Pami e di Cicala dal nome di un capitano siciliano rinnegato, di Morat-bey, della Galera maestra; di Soliman, di Sidi-Mohammed, del pascià. Tripoli possedeva un solo bagno; a Salè, non ve ne erano. Venezia per rappresaglia ebbe le schiave moresche per varii secoli.
I mori avevano schiavi e schiave europee nelle loro case e nelle terribil carceri sotterranee dette matamur. Il traffico delle schiave bianche per gli harems dei ricchi era intenso e il loro prezzo saliva a cifre esorbitanti a norma della bellezza e del capriccio. Parecchie ebbero il riscatto, altre conquistavano buoni posti, altre si acconciarono alla nuova vita; molte vissero di vergogna e di dolore.
A Tunisi gli schiavi si vendevano in un bazar particolare, detto batistan (luogo di battezzati). I barbareschi spinsero la loro insolenza fino a ripire durante uno sbarco notturno nel 1798 all'isola sarda di S. Spirito 900 persone e il bey prelevò un certo numero di giovanette scelte fra le più belle.
La mostra e la vendita delle schiave bianche forni soggetto a tele suggestive, particolarmente al capolavoro dal Druet esposto al «Salon» di Parigi nel 1914: Marchand d'esclaves à la porte d'un sérail.
Jehan d'Ivrai nelle Memorie dell'eunuco Bechir-Aga ricorda che molte volte negli harems, turche di sangue nobile, imparentate col sultano, figlie di Emir e di Pascià e di Aga e di Bey furono sostituite nel cuore e nel potere da giovinette europee o franghi non riuscendo a rimanere padrone delle loro case se le bianche vi entravano.
E per opera loro dovevano sovente avverarsi i dettami di quel saggio turco che diceva: «tutti quelli che compiono il loro dovere coniugale al cader della notte fanno opera altrettanto meritoria come se sacrificassero un montone».
«Quelli che al colmo della notte ripetono questo dovere, acquistano agli occhi di Dio merito uguale a quello che acquisterebbero sacrificando un cammello. E quelli infine che allo spuntare del sole rendono omaggio alla santità della loro unione, hanno merito come se liberassero dalla servitù uno schiavo.
«La moglie preoccupata della salute spirituale di suo marito, appena calò la notte gli disse: «Amico mio, sacrifichiamo un montone». E il montone fu sacrificato. A mezzanotte il turco fu di nuovo svegliato «Cuore mio si sente dire, sacrifichiamo un cammello». E il cammello fu sacrificato. Poi il giorno cominciava appeni a sorgere che la fervente mussulmana avvertiva esser giunto il momento di liberare uno schiavo. Egli allora volgendosi a lei, e tendendogli le braccia «Avanti dunque, liberami dalla servitù!»
transcribed by Mike Richter and Rick Bogart