Il libretto di Felice Romani è tratto nelle sue linee generali
dalla Norma di Alexandre Soumet, che a sua volta, per l'ambientazione,
i riti, il profilo dei personaggi si ispira all'episodio di Eudoro e
Velleda (capp. IX e X) del romanzo Les Martyrs (1809) di
Francois‑René de Chateaubriand, romanzo tenuto presente anche dal
librettista. Più generico il rapporto con la Medea di Euripide.
I drùidi (singolare drùida) erano i sacerdoti degli
antichi popoli celtici che abitavano le
Gallie, la Britannia, l'Irlanda, e costituivano una delle principali caste
della società. Essi ebbero grande peso politico nelle lotte contro
i Romani, i quali più volte tentarono
di sopprimerli. Avevano anche il ruolo di giudici, di educatori, di medici.
La casta dei druidi comprendeva anche delle druidesse, che facevano
giuramento di castità. A volte, come nel caso di Norma, ad esse
erano affidati compiti di profetesse e veggenti.
Secondo Chateaubriand, i Galli usavano a questo scopo un dolmen sotto
cui erano i resti
di un guerriero. L'altare si trova ai piedi della quercia sacra, l'albero
che nella cosmologia nordica sorge al centro del mondo, e ne è
il sostegno; esso è la personificazione del dio Hirmin (Irminsul).
Questo culto ha avuto ampio sviluppo nella Sassonia pagana, fino a quando
Carlomagno nel 772 distrusse il luogo dove sorgeva la quercia.
La penetrazione romana nelle Gallie inizia intorno al 125 a.C.,
raggiunge il suo culmine con la conquista di Cesare (58‑51 a.C.);
nel 258 la Gallia ottiene l'autonomia da Roma. Né in Soumet né in Romani
ci sono più precise indicazioni temporali.
In Soumet (II/2) i due figli di Norma, Agénor e Clodomir, narrano alla
madre un sogno che hanno fatto entrambi: assistevano in Roma a una
cerimonia di nozze, quando improvvisamente appare una donna che inonda
col proprio sangue i due sposi, ma mentre vengono sacrificati sull'altare
due bambini. Ro ni attribuisce il sogno a Pollione,
ricavando così lo spunto per l'aria di sortita.
In tutto questo racconto è presente il ricordo della Medea di
Euripide. Per vendicarsi di Giasone che l'ha lasciata per unirsi a Creusa,
Medea invia alla rivale per mezzo dei propri figli un peplo e un diadema
intrisi nel veleno. Non appena Creusa indossa i due
regali di Medea, un fuoco divoratore si sprigiona da essi, e divora le carni
dell'infelice. Compiuta la vendetta, Medea uccide anche i propri figli.
Flavio, che in Soumet svolge un ampio ruolo di confidente, è ridotto
da Romani a questa fuggevole apparizione.Nello stesso modo Romani si comporta
nei confronti di Clotilde, la confidente di Norma.
La casta dei druidi, oltre ai sacerdoti propriamente detti, comprendeva
anche dei bardi, cioè dei poeti cantori, e degli indovini, che
Felice Romani, sulla scorta di Chateaubriand, chiama eubagi, sacerdoti
votati allo studio delle scienze naturali. dell'astronomia e della
divinazione.E&146; da notare che Soumet non utilizza e non nomina gli eubagi; e
questo dimostra l'attenzione del librettista per l'episodio druidico di
Chateaubriand.
Sia per i Romani che per i Celti, la verbena (Verbena officinalis,
specie spontanea in Europa) era pianta sacra,molto usata per i sacrifici
e come simbolo di pace. Le si attribuivano anche proprietà
afrodisiache e poteri magici.Ebbe un ampio uso medicinale come cicatrizzante
e per combattere l'anemia.
La prima apparizione di Norma, che in Soumet avviene senza alcuna
preparazione, Romani l'ha attentamente esemplata su Chateaubriand,
intuendo le possibilità suggestive e arcane della musica.
Brenno &138; il capo dei Galli che nel IV secolo a.C. conquistò Roma,
e, trattando il prezzo del riscatto, gettò la spada sulla
bilancia esclamando: "Vae victis!".
I Sicambri sono un antico popolo stanziato sulla riva destra del Reno,
sconfitto da Cesare nel 55 a.C. e annientato da Tiberio nell'8 a.C.:
le scuri dei Sicambri sono quindi le armi dei Galli, sia pure in senso
molto limitativo. Il pilo, specie di lancia, è invece l'arma tipica
dei legionari romani.
Più che dei vischio comune (Viscum album), si tratta del
Loranthus europaeus, che vive parassita sui rami delle querce e
(lei castagni, da cui assorbe acqua e sali nutritivi. Ha foglie coriacee
e bacche gialle gelatinose. Per i Galli il vischio era simbolo della
sacralità della quercia, e veniva raccolto al principio dell'anno
da druidi vestiti. di bianco il sesto giorno dopo la luna nuova,
con un falcetto d'oro. L'usanza tuttora viva di regalare
un ramo di vischio per l'anno nuovo deriva da una leggenda celtica.
La mietitura del vischio, inesistente in Soumet, è così
descritta da Chateaubriand: "Un eubagio vestito di bianco sali sulla
quercia e tagliò il vischio col falcetto d'oro della druidessa;
un bianco saio steso sotto l'albero ricevette la pianta benedetta;
gli altri eubagi colpirono le vittime, e il vischio, diviso in parti
uguali fu distribuito agli astanti".
Sul libretto la Cavatina di Norma "Casta Diva", è
indicata "Preghiera". Si è mutata la distribuzione
delle parti per uniformarla al testo musicato da Bellini.
Alla vista di Pollione, Adalgisa, sul libretto, esclama: "Oh!
Pollion!". Più oltre, nella scena IX, quando scoprirà
che egli è legato a Norma, dirà, sempre sul libretto.
"Che ascolto?... ah! Pollione!". Nel primo caso Bellini
farà dire a Adalgisa: "Oh! tu qui!"; nel secondo,
"Che ascolto? ah! Deh parla Sono motivi
precauzionali, per evitare il
rischio di pronuncie un poco imprecise: infatti, provate a modificare le prime
due consonanti di Pollione...
Gli ultimi tre versi di Norma sono diversi sul libretto: 'Tonte d'eterne
lagrime L'empio a te pure aperse... / D'orribil vel coperse / L'aurora de' tuoi
dì".
La strofa di Adalgisa, che sul libretto precede quella di Pollione, è
simmetrica (8 versi) con quella di Norma e Pollione. Ma Bellini ha ridotto in
un unico verso i primi due, che sul libretto sono: "Oh! qual traspare
orribile 1 Dal tuo parlar mistero!".
Dopo questa parola di Norma, il libretto prosegue con il dialogo per altri
undici versi: Pollione minaccia vendetta, e Norma a sua volta lascia capire
che ucciderà Adalgisa. Sono stati eliminati da Bellini, non solo
perché la scena era già molto ampia, ma soprattutto perché
veniva totalmente lasciata da parte Adalgisa.
li testo del libretto termina con le tre strofe di otto versi dei tre
protagonisti; il resto, cio è il coro interno dei druidi,
e gli ultimi tre interventi, sono desunti dalla partitura autografa.
2 probabile che le parole le abbia inventate lo stesso Bellini:
e lo si può notare in quella ripetizione del coro
("In tuon feroce / D'Irminsul tuonò la voce")
che Romani non si sarebbe lasciato sfuggire.
La scena di Norma, molto abilmente tratta da Romani da un ampio monologo in
Soumet, seguito da un altrettanto ampio dialogo fra la madre e i due figli
(111/2), aveva avuto dapprima una formulazione diversa, in forma di dialogo fra
Norma e Clotilde. In seguito era stata rimaneggiata e ampiamente accorciata.
Sul libretto essa appare costituita da diciotto endecasillabi e due settenari.
Mettendola in musica, Bellini la scorciò ulteriormente, riducendola
a tredici endecasillabi di cui uno difettoso ("Delizia mia... essi nel
cui sorriso") due settenari, e tre quinari che sono lacerti di
endecasillabi mutilati.
Bellini opera sul libretto un taglio,di sei endecasillabi, nei quali Norma
rivela a Adalgisa
di essere madre di due figli. E questa 'Tonta" che Norma vuol rivelare
alla giovane donna, che d'altronde già conosce la maternità
della druidessa (l'ha appresa nel
finale dell'atto 1, sia pure in maniera un poco sommaria). t quindi giusto il
taglio, ma resta un poco sospesa la frase, poiché non viene rivelata l'onta di
cui parla Norma.
Questa battuta di Oroveso, e la seguente, hanno subito dei tagli rispetto al
libretto. Il capo dei Druidi annunciava l'arrivo di nuove legioni romane, e
esponeva la sua ansia per il disinteresse di Norma. 1 tagli sono stati
probabilmente effettuati nella fase delle prove, constatando le poche risorse
del basso Negrini.
Ligeri, forma poetica dal latino Liger, il fiume Loira. Il senso del distico
è il seguente: il sangue, sulle acque della Loira rese impure,
gorgoglia con funebre suono.
Sul libretto si legge "Viene il Dio sovra un raggio di sol".
Bellini ha preferito il più diretto, e quasi visivo "ecco"
al più generico "viene"; e questa scelta di Bellini,
di tipo testuale, può dare una conferma all'opportunità
di eseguire quel finale dei coro in la maggiore, che spesso viene tagliato.
Sul libretto si legge: "Tosso alfine., e voglio farti / Infelice al par di
me". Bellini ha tolto il "voglio", e ha preferito la
ripetizione di "posso", quasi a lasciar intuire il gesto finale
di Norma.
Questa didascalia è aggiunta da Bellini sulla partitura, ed è
in qualche modo il segno di un disagio per la situazione del tenore in
questi ultimi momenti dell'opera, focalizzati su Norma e Oroveso.
Da qui il libretto si allontana del tutto da Soumet. Nella tragedia,
a questo punto, entrano le legioni romane. che liberano Pollione e mettono
in fuga i Galli, Il quinto atto vede la follia di Norma, che invano Pollione.
introdottosi nel suo rifugio. cerca di far fuggire con sé; la donna
uccide con un pugnale uno dei figli, e quindi si getta con l'altro da una rupe.
Oroveso commenta: "Il suo supplizio è finito; ora comincia il tuo,
Romano". Il librettista è più vicino a Chateaubriand,
che fa morire Velleda sul rogo, mentre il romano Eudoro sopravvive.